Il lievito madre (noto anche come pasta madre, pasta acida o lievito naturale) è un composto che ha origini antichissime, probabilmente addirittura ai tempi dell’antico Egitto. Nei secoli, o meglio nei millenni, l’arte della sua preparazione, conservazione e utilizzo si è diffusa attraverso le popolazioni, arrivando fino ai giorni nostri senza però subire grandi modifiche e rimanendo fedele alla sua “semplice complessità”.
In un nemmeno troppo lontano passato, quando il lievito di birra e i migliori ceppi lievitanti non erano ancora stati selezionati per l’utilizzo nell’industria alimentare, ogni famiglia faceva affidamento sulla propria pasta madre, custodendola e tramandandola di generazione in generazione.
Vediamo cos’è il lievito madre, come si prepara, come si conserva e come si utilizza!
Cos’è il lievito madre
Definita impropriamente “lievito”, la pasta madre è in realtà un insieme complesso di microrganismi (normalmente presenti nell’aria, sulle superfici, nell’acqua e nella farina) quali lieviti (in particolare saccaromiceti, tra i quali il famoso lievito di birra) e batteri lattici e acetici (lactobacilli e streptococchi).
In presenza dell’adeguata fonte di alimentazione (nel caso specifico, il glucosio che forma le catene di amido contenute nella farina) questi microrganismi attivano specifici processi metabolici in grado di scomporre le sostanze complesse in sostanze semplici e produrre materiale di scarto, tra cui i gas responsabili della lievitazione.
Proprio per questo, così come per il lievito di birra, si parla di lievitazione biologica, differentemente dagli altri tipi di lievitazione che possono essere utilizzati in cucina (come quella meccanica che si sfrutta nella montatura delle uova o quella chimica ad opera del bicarbonato di sodio).
Mentre l’attività del lievito di birra si basa però solamente sulla fermentazione alcolica (che scompone gli zuccheri per produrre etanolo e anidride carbonica), nel caso del lievito madre la presenza dei batteri lattici permette che si verifichi anche una fermentazione lattica (che invece utilizza gli zuccheri per la produzione di anidride carbonica, acido lattico e acido acetico) in grado di conferire al prodotto finito ulteriori caratteristiche e aromi.
I vantaggi principali nell’utilizzo del lievito madre rispetto a quello di birra, a fronte di alcune limitazioni come i tempi di lievitazione più lunghi e una più complessa gestione e realizzazione degli impasti, sono numerosi:
- Maggiore conservabilità, grazie all’acidità dell’impasto che crea un ambiente ostile per la proliferazione delle muffe (evitando così l’utilizzo dei conservanti);
- Fragranza più duratura, e quindi shelf-life del prodotto più estesa;
- Miglior gusto, dovuto alla presenza dei batteri lattici e acetici e ai loro processi metabolici che sviluppano profumi e aromi più intensi;
- Migliore digeribiltià, grazie alla complessa microflora in grado di trasformare le sostanze più complesse in sostanze più semplici e quindi più facilmente assimilabili.
Come fare il lievito madre

A differenza del lievito di birra, che a causa del suo complesso ciclo di produzione deve essere necessariamente acquistato, esistono molti metodi per riuscire a fare facilmente il lievito madre in casa. Vediamo uno di quelli più semplici e rapidi per ottenerlo in pochi giorni.
Il lievito madre in pasta solida è caratterizzato da un’idratazione tra il 35% e il 50%. Questo significa che il suo contenuto di acqua, in peso, può essere al massimo la metà rispetto a quello della farina.
Per prepararlo sono sufficienti due ingredienti tanto semplici quanto comuni: l’acqua e la farina. Alcune tecniche prevedono anche l’aggiunta iniziale dei cosiddetti attivatori o starter, quali zucchero, miele, yogurt, olio, succo di frutta fermentato (mela, uvetta, ecc.), prodotti in grado di accelerare il processo e selezionare i microrganismi fin dalla partenza, ma non è un’operazione necessaria: se fate le cose giuste, acqua, farina e i microrganismi in esse e nell’aria presenti sono più che sufficienti.
La farina (di grano tenero) può essere di qualsiasi tipo (00, 0, 1, 2), l’importante è che sia naturale e senza conservanti. In questa prima fase è comunque meglio utilizzare farine poco raffinate, quindi più cruscali e enzimatiche, in modo che i processi di scomposizione dell’amido e fermentazione siano più veloci, mentre per i regolari rinfreschi di conservazione una volta che il lievito si sarà formato è meglio sostituirle con farine più raffinate e mediamente forti.
Per quanto riguarda l’acqua invece, si consiglia di utilizzare quella in bottiglia o filtrata, con un basso residuo fisso, così da evitare che cloro e calcare eventualmente contenuti in quella dell’acquedotto possano interferire con la fermentazione.
Finite le presentazioni degli ingredienti, è il momento di iniziare a lavorare!
Il primo passo è quello di unire farina e acqua (a temperatura ambiente) in un rapporto di 2 a 1 (idratazione al 50%) e impastare fino alla formazione di un composto omogeneo, senza però dargli troppa forza incordandolo e creando la maglia glutinica (è sufficiente che i due elementi siano ben amalgamati).
Non si tratta di una ricetta da pasticceria, quindi non è necessario essere precisi al grammo: una buona dose da cui partire è quella di 200 g di farina, a cui vanno aggiunti circa 100 g di acqua (il composto finale risultante avrà quindi una massa di circa 300 g).
Dopo la preparazione, l’impasto acido (che non è ancora lievito madre) va riposto in un contenitore trasparente “stretto e alto” che aiuti la spinta verso l’alto, evitando il collasso della massa, e di capacità almeno tripla rispetto al volume iniziale del composto.
Il contenitore non va chiuso ermeticamente, ma solamente coperto con una garza, un panno, o una pellicola antiaderente forata, in modo che non possano entrare corpi estranei ma che allo stesso tempo lo scambio gassoso e la circolazione di aria non siano ostacolati.
A questo punto il composto va lasciato riposare a temperatura costante (tra i 22 e i 26 °C circa) e al riparo da correnti d’aria, in attesa che si inneschi il processo di fermentazione.
Trascorse circa 48h (i tempi variano molto in funzione della farina e dell’acqua utilizzate e della temperatura di conservazione), se il composto avrà raddoppiato il proprio volume e non si saranno formate muffe, sarà il momento del primo rinfresco, operazione che mira a fornire nuovi nutrienti a lieviti e batteri.
Prima di effettuare ogni rinfresco si elimina sempre la parte superficiale, che solitamente risulta ossidata e caratterizzata da un aspetto più scuro e asciutto.
Dopo aver eliminato il “cappello”, si preleva una parte dal cuore del composto rimanente, che a questo punto della preparazione risulta ancora molto appiccicoso (caratteristica che andrà a scomparire con il tempo); è possibile prelevarne l’intera quantità, ma in questa fase iniziale in cui i rinfreschi sono molto ravvicinati, per evitare inutili (ma inizialmente inevitabili) sprechi di farina, è consigliabile rinfrescarne solamente una piccola parte, ad esempio 100 g, eliminando l’esubero restante.
Il rinfresco segue la regola del 2 a 2 a 1, cioè una parte di lievito madre, una in pari peso di farina (possibilmente sempre la stessa fino a che il lievito non sarà pronto), e una di acqua in peso dimezzato. Riprendendo l’esempio di 100 g di composto, si devono aggiungere 100 g di farina e 50 g di acqua circa.
Nei rinfreschi è sempre meglio far sciogliere prima il lievito nell’acqua (sempre a temperatura ambiente) avendo cura di mischiare e ossigenare, e solo successivamente aggiungere la farina e impastare fino al raggiungimento di un composto omegeneo.
Una volta fatto il rinfresco, si ripone nuovamente il lievito nel contenitore (che sarà stato opportunamente pulito con sola acqua calda) e si riposiziona nello stesso luogo precedente.
Questa semplice operazione va effettuata con costanza per i primi giorni, più precisamente ogni volta che il lievito raddoppierà il proprio volume iniziale. Si prende come riferimento questo parametro visivo perché proprio in quel momento l’attività della microflora sarà massima, e da lì in poi, senza nuovo nutrimento, inizierebbe un lento declino che porterebbe lentamente alla morte di tutti i microrganismi utili presenti.
Se inizialmente il tempo necessario al raddoppio di volume si attesta attorno alle 24 ore circa, con il susseguirsi dei giorni e dei rinfreschi i tempi si ridurranno sempre di più. In altre parole, più ci si avvicina alla fine della fase di preparazione, più i rinfreschi diventeranno frequenti.
Stilare una tabella per i primi giorni è molto difficile, perché i tempi dipendono troppo dalle variabili ambientali: in linea di massima, se all’inizio la cadenza dei rinfreschi è di circa ogni 24 ore, nelle fasi finali potrebbero essere necessari anche fino a tre rinfreschi al giorno.

Quando il composto sarà in grado di raddoppiare il proprio volume in 3-4 ore (a una temperatura di 23-25 °C circa) il vostro lievito madre sarà pronto per l’ultimo rinfresco, dopo il quale potrete utilizzarlo o riporlo in frigorifero a una temperatura di 4-6 °C per la conservazione (a questo punto il coperchio va chiuso, ma sempre non ermeticamente per lasciare uno sfogo ai gas prodotti dall’attività dei batteri).
Dare un numero preciso di giorni per questa fase inizale è un po’ un terno al lotto, perché come già detto il processo dipende da diversi parametri (temperatura, farina, acqua, ecc.): non abbiate fretta, potrebbe bastare una settimana, così come potrebbero non bastarne due… l’importante è essere costanti con i rinfreschi.
Se, quando il lievito sarà diventato abbastanza forte da riuscire a raddoppiare il proprio volume nei tempi previsti, doveste avere ancora qualche dubbio riguardo il fatto che sia pronto, affidatevi alla vista e all’olfatto: il colore bianco avorio e il caratterisco profumo (che può vagamente ricordare quello dello yogurt) con le sue note leggermente alcoliche e acide (senza però essere aggressive) vi daranno la certezza di essere riusciti a produrre il vostro lievito madre in casa! Ovviamente sarà ancora giovane e poco profumato, ma niente paura, ci vuole tempo (e rinfreschi) per farlo maturare.
Come conservare il lievito madre
Come ormai avrete capito, il lievito madre è un’entità viva che necessita di alcune cure per poter sopravvivere. Per questo motivo è necessario continuare a fornire nutrienti (sottoforma di acqua e farina) ai lieviti e ai batteri in esso presenti attraverso regolari rinfreschi, onde evitare che questi muoiano (e che tutto il lavoro di preparazione venga gettato al vento) o che i livelli di acidità superino i limiti accettabili.
I rinfreschi per conservare il lievito madre seguono le stesse proporzioni di quelli fatti per la sua produzione, e possono essere distinti in due tipologie:
- rinfresco di produzione, quando l’operazione precede l’utilizzo del lievito per la preparazione di un impasto. In questo caso è consigliabile che il rinfresco della porzione per la produzione venga effettuato utilizzando la stessa farina che sarà usata per l’impasto della ricetta; la dose necassaria alla preparazione verrà messa da parte per la fermentazione (in cella di lievitazione, in frigorifero, o a temperatura ambiente), mentre la parte rimanente andrà riposta in frigorifero per la conservazione.
- rinfresco di mantenimento, quando il lievito non deve essere utilizzato per una preparazione. In questo caso sarà sufficiente rinfrescarlo (utilizzando una farina forte molto proteica, meglio se sempre la stessa) e riporlo poi in frigorifero.
Il rinfresco può essere effettuato subito, appena fuori dal frigorifero, o dopo un’ora circa, quando il lievito sarà tornato a temperatura ambiente.
Per quanto riguarda il cosiddetto “capo lievito”, ossia la quantità da conservare, c’è chi sostiene che questo debba essere messo in frigorifero immediatamente dopo il rinfresco, chi dice invece che sia necessario aspettare prima circa un’ora, e chi addirittura ritiene sia meglio aspettare il raddoppio di volume per poi farlo sgonfiare prima di riporlo “al fresco”. Io personalmente preferisco metterlo in frigorifero subito, ma voi sperimentate la soluzione che più vi convince.
Esistono diversi modi per la conservazione del lievito madre, in telo, in bagno d’acqua, sfogliato, in freezer, ma a mio avviso quello del contenitore in frigorifero rimane quello più semplice da gestire in casa (e anche l’unico nel caso del Li.Co.Li., che vedremo tra poco).
Il lievito madre in pasta solida va rinfrescato almeno una volta a settimana, ma vale la regola che più frequentemente sarà rinfrescato, più sarà pronto e attivo al momento del bisogno. Non preoccupatevi se nei primi utilizzi potrà sembrarvi ancora poco lievitante o profumato, ci vuole tempo per avere un lievito madre maturo, ricco di sapore e forza.
Potrebbe capitare che il vostro lievito diventi troppo acido, specialmente se lo usate poco o lo rinfrescate raramente. In questo caso è possibile ristabilire i livelli ottimali di acidità nell’impasto ricorrendo al cosiddetto “bagnetto”, tagliandolo a fette e lasciandolo a bagno in acqua leggermente zuccherata; trascorsi 10-15 di minuti, queste andranno strizzate accuratamente e sottoposte a rinfresco.
Se invece non lo avete utilizzato per un lungo periodo, o se per qualche motivo vi sembra un po’ “fiacco”, due o tre rinfreschi consecutivi a temperatura ambiente (secondo la solita regola del raddoppio) saranno sufficienti per restituirgli forza e vitalità.
LI.CO.LI., il lievito madre in coltura liquida
Il Li.Co.Li. (o licoli, lievito naturale in coltura liquida), anche detto in crema, ha la stessa composizione di quello in pasta solida, ma differisce per il livello di idratazione che può andare dal 100% al 130%.
La sua preparazione è identica a quella vista per il lievito madre in pasta solida, con la sola differenza che, all’inzio, farina e acqua devono essere in quantità uguali (anziché essere unite in rapporto 2 a 1). Riprendendo l’esempio fatto per l’impasto solido, partendo da 200 g di farina sarà necessario aggiungere 200 g di acqua.
Anche i rinfreschi vanno gestiti allo stesso modo, con rapporti però di 1 a 1 a 1: si prelevano 100 g di lievito, si aggiungono 100 g di acqua e si mescola il tutto con un cucchiaio o una frusta, avendo cura di ossigenare bene il composto fino a quando la farina non si disperde formando una sorta di latte schiumoso; a quel punto, si aggiungono i 100 g di farina e si procede con il mescolamento fino all’ottenimento di una consistenza cremosa.
I rinfreschi del Li.Co.Li. sono molto veloci e si possono fare semplicemente con un cucchiaio, senza nemmeno dover estrarre la massa dal contenitore e “sporcarsi le mani”.

Le differenze tra lievito madre in pasta solida e Li.Co.Li.
Lievito madre in pasta solida e in coltura liquida sono simili nella composizione, negli ingredienti e nella flora microbatterica che li costituisce (anche se quest’ultima cambia in minima parte, essendo leggermente più a favore dei batteri lattici in quello in crema e dei batteri acetici in quello solido).
La maggiore idratazione fa però sì che il secondo abbia dei grandi vantaggi nella gestione, che è più semplice (come abbiamo visto i rinfresci sono molto più rapidi nell’esecuzione) e meno costante, dal momento che questo può resisitere in frigorifero anche fino a un mese senza essere rinfrescato.
In questo caso, qualora si vogliano fare dei rinfreschi così distanziati, è opportuno avere l’accortezza di diminuire le dosi di rinfresco utilizzando rapporti di circa 8 a 1 a 1 (ad esempio, ogni 100 g di lievito madre, 12,5 g di acqua e 12,5 g di farina): fornendo questa piccola quantità di nutrimento il Li.Co.Li. sarà portato a rallentare la propria attività, non andando a consumare tutti gli zuccheri in pochi giorni.
Questa tecnica, valida per il lievito madre in coltura liquida, non è applicabile a quello in pasta solida che, al contrario, per una durata maggiore (sempre comunque entro i 7-10 giorni) necessita di dosi aumentate rispetto al consueto rapporto 2 a 2 a 1 (si possono fornire fino al doppio o al triplo dei nutrienti, ad esempio in rapporto 1 a 2 a 1 o 2 a 6 a 3).
In altre parole, se per il lievito madre in pasta solida vale la regola del “più gli do cibo, più si conserva”, per quello in coltura liquida è il contrario, e “meno cibo gli do, più si conserva”.
Un secondo aspetto vantaggioso nella gestione del Li.Co.Li. risiede nel fatto che sia sufficiente un solo rinfresco prima di poterlo utilizzare, mentre con il pasta solida, specialmente per la produzione di grandi lievitati come panettoni e colombe, possono essere necessari anche fino a 3 rinfreschi ravvicinati (comprensivi di lavorazioni particolari come laminazione, sfogliatura, ecc.).
Questi numerosi vantaggi nella gestione e nella conservazione hanno però un prezzo, e cioè quello di una minore acidità (e quindi un gusto più neutro e meno caratteristico) e di una peggiore performance con impasti pesanti (cosa che lo rende più adatto per i prodotti di forneria come pane, pizza e focacce). Se avete intenzione di preparare lievitati da pasticceria con impasti molto grassi, meglio affidarsi quindi alla maggior spinta del lievito madre in pasta solida (a patto che prima di utilizzarlo effettuiate almeno 2-3 rinfreschi ravvicinati con l’aggiuntiva laminazione finale).
Trasformare il lievito madre in pasta solida in Li.Co.Li.
Come già detto lievito madre in pasta solida e in coltura liquida sono molto simili, cambiano solamente la composizione batterica (di poco) e la consistenza. Qualora vogliate passare da una tipologia all’altra, vi basteranno pochi passaggi.
Per passare da pasta solida a Li.Co.Li. è necessario portare il lievito madre ad un’idratazione del 100%. Per farlo, è sufficiente effettuare un rinfresco con rapporti tipici del Li.Co.Li. (1 a 1 a 1), ricordandosi però di aggiungere prima l’acqua necessaria per portare il lievito originario all’idratazione desiderata.
Sembra complicato, ma un esempio vale più di mille parole. Immaginiamo di voler trasformare 100 g di lievito solido: prima di tutto si aggiunge l’acqua necessaria per portarlo al 100% di idratazione, che in questo caso sarà di 33 g circa (ossia il 33% del suo peso), e successivamente si procede con il normale rinfresco per Li.Co.Li., aggiungendo 133 g di farina e 133 g di acqua.
Viceversa, se si vuole trasformare un Li.Co.Li. in un pasta solida, si dovrà effettuare un rinfresco 2 a 2 a 1, avendo cura però di aggiungere anche la farina necessaria per portare il lievito iniziale al 50% di idratazione. Riprendendo l’esempio dei 100 g di lievito, sarà necessario aggiungergli 50 g di farina (il 50% del suo peso) per poi procedere con il consueto rinfresco con 150 g di farina e 75 g di acqua.
Questa trasformazione drastica potrebbe rappresentare un trauma per i microrganismi presenti, che potrebbero reagire rallentando la propria attività: in questo caso basterà qualche rinfresco ravvicinato per riportarli in forza.
L’alternativa può essere quella di fare una serie di rinfreschi a temperatura ambiente (ad ogni raddoppio di volume) con diminuzione o aumento graduale dell’idratazione. Nel caso di passaggio da pasta solida a Li.Co.Li. (viceversa, il percorso sarà opposto):
- primo rinfresco al 60% (100 g di lievito, 100 g di farina e 60 g di acqua);
- secondo rinfresco al 70% (100 g di lievito, 100 g di farina e 70 g di acqua);
- terzo rinfresco all’80% (100 g di lievito, 100 g di farina e 80 g di acqua);
- quarto rinfresco al 90% (100 g di lievito, 100 g di farina e 90 g di acqua);
- quinto rinfresco al 100% (100 g di lievito, 100 g di farina e 100 grammi di acqua).
Se i metodi precedenti non vi convincono, c’è anche una via di mezzo tra i due. Iniziate a trattare il vostro lievito madre come se fosse già trasformato, facendogli semplici rinfreschi nelle dosi consuete per quello che volete ottenere. In questo modo il cambiamento di consistenza avverrà più lentamente rispetto al primo metodo (quello drastico, che richiede solo un rinfresco di trasformazione) ma più velocemente rispetto al secondo (quello graduale, che richiede cinque rinfreschi), e in circa tre/quattro rinfreschi avrete ottenuto la trasformazione desiderata.
Mentre il cambiamento di consistenza è una questione abbastanza rapida, per quanto riguarda proprietà organolettiche e composizione batterica sarà necessario un po’ più di tempo, affiché la microflora (e le conseguenti proprietà che è in grado di influenzare) si adatti alla nuova percentuale di idratazione.
Come usare il lievito madre

Abbiamo già parlato del rinfresco di produzione che è necessario prima di poter utilizzare il lievito madre nella preparazione di impasti: dopo 3 o 4 ore circa a temperatura ambiente (o 24 ore in frigorifero), quando il composto avrà raddoppiato/triplicato il proprio volume e si troverà al massimo della sua attività, sarà il momento migliore per andarlo a unire agli altri ingredienti e iniziare a impastare.
Come già visto nel capitolo sulle differenze tra pasta solida e Li.Co.Li., vi ricordo che mentre per il secondo è sufficiente un solo rinfresco pre-utilizzo, per il primo sarebbe meglio effettuarne almeno due o tre ravvicinati (specialmente se volete utilizzarlo per i grandi lievitati, altrimenti anche uno solo può bastare).
In base alla tipologia di lievito madre, cambia anche la quantità massima utilizzabile sul peso della farina dichiarato dalla ricetta, che si ferma tra il 15% e il 35% per quello in pasta solida e che può invece variare tra il 15% e il 100% nel caso di quello in crema (per un preparato che prevede l’utilizzo di 1 kg di farina si potranno utilizzare tra i 250 g e i 1000 g di Li.Co.Li.).
Le dosi delle ricette fanno sempre riferimento al lievito madre rinfrescato. Se per qualche motivo il vostro lievito dopo il rinfresco non fosse ancora abbastanza, vi basterà aspettare il raddoppio di volume per rinfrescarlo nuovamente, a oltranza, fino a quando non ne avrete a sufficienza: considerando che ogni volta si triplichererà la sua massa (per la precisione, triplica quella del Li.Co.Li. mentre quella del pasta solida diventa due volte e mezza) in poche ore riuscirete a ottenerne grandissimi quantitativi!
Il lievito madre può essere anche utilizzato insieme al lievito di birra. La presenza di quest’ultimo (in dosi pari a circa l’1-2% del peso della farina) è infatti in grado di smorzare la lieve nota acida tipicamente conferita agli impasti dalla pasta madre, senza però annullarne tutti i benefici che porta in termini profumo, alveolatura e conservabilità.
Conclusione
Il lievito madre, nonostante le nozioni scientifiche che stanno alla base del suo funzionamento e sviluppo, è una questione più che altro empirica (tanto che le civiltà antiche ne padroneggiavo l’arte senza neanche sapere cosa fossero lieviti e batteri): è necessario provare, sperimentare e, talvolta, fallire.
Ci sono tantissimi metodi per la sua preparazione e conservazione, ognuno con i propri vantaggi e svantaggi, ma il risultato deve essere sempre lo stesso.
Quello che ho scelto di descrivere io in questo articolo è quello che utilizzo personalmente e che a mio avviso è forse il più semplice, da capire e da attuare, ma comunque in grado di portare ottimi risultati. Non vi resta che sperimentare!
Se avete qualche domanda da fare riguardo la produzione del lievito madre, o se volete descrivere un metodo differente che utilizzate personalmente e che vi dà parecchie soddisfazioni, commentate qui sotto.
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