Fare da sé il vino è una pratica molto diffusa in alcune zone d’Italia. La vinificazione in bianco si differenzia da quella in rosso per pochi passaggi, che sono però molto importanti per il prodotto finale: andiamo a vedere quali sono le fasi principali per ottenere un vino bianco di qualità.

La vendemmia

La raccolta delle uve bianche è solitamente anticipata rispetto a quella delle uve nere, e risulta anche molto più meticolosa: l’operatore deve selezionare e analizzare attentamente ogni grappolo per eliminare gli acini secchi, marci o rovinati, che una volta nel mosto potrebbero comprometterne irreparabilmente la qualità.

Le prime fasi della vinificazione: diraspatura, pigiatura e pressatura

Nel caso delle uve da bianco i tempi di lavorazione devono essere molto rapidi, per evitare che il mosto si ossidi.

Una volta conclusasi la vendemmia inizia la prima fase di lavorazione, composta da diraspatura (o deraspatura) e pigiatura: con diraspatura si intende la separazione degli acini dai raspi (i “rami”), che vanno eliminati per evitare rilascio di aromi e sostanze indesiderate e riduzione della gradazione alcolica del prodotto finito, mentre la pigiatura consiste nel rompere delicatamente il chicco d’uva, separando la parte liquida in esso contenuta (mosto) da quella solida (buccia e fibre).

Pigiadiraspatrice per vinificazione in bianco

Pigiadiraspatrice a manovella

In passato, quando i macchinari erano molto meno evoluti, la diraspatura era effettuata solamente dalle aziende e dalle famiglie più attrezzate, mentre normalmente il grappolo veniva pigiato nella sua interezza all’interno di semplici “pigiatrici”, o addirittura calpestandolo con i piedi (come non ricordare l’immagine simbolo della vendemmia, nella quale persone scalze “camminano” all’interno di enormi tini colmi di uva!).
Oggi sono invece molto più diffuse le cosiddette pigiadiraspatrici (che possono essere manuali o a motore), in grado di diraspare e contemporaneamente pigiare il grappolo.

I prodotti che si ottengono alla fine di questa fase sono tre: i raspi, che sono materiale di scarto, il mosto fiore, che è il succo d’uva più pregiato, e la parte solida, formata dalle bucce e da altri residui.

La parte solida rimasta passa poi alla fase di pressatura, amatorialmente effettuata mediante il torchio (fase di torchiatura), all’interno del quale le bucce vengono sottoposte a pressioni considerevoli in grado di separare la parte solida (che darà origine alle vinacce) dagli ultimi residui di mosto.

Durante questa fase è sconsigliabile lavorare a pressioni troppo elevate, che andrebbero a estrarre dalle fibre anche sostanze e aromi indesiderati. Per questo motivo, piuttosto che effettuare un solo passaggio di torchiatura ad alte pressioni, si preferisce effettuare più passaggi (solitamente due o tre) a pressioni inferiori: una volta raggiunto un certo livello di pressione, si scarica il torchio e si procede alla decompattazione della massa creatasi, sottoponendola poi ad una seconda torchiatura.
Così facendo si riesce a liberare ancora notevoli quantitativi di mosto, lavorando a pressioni in corrispondenza delle quali, prima della decompattazione, la massa non liberava più parte liquida.

Il mosto ricavato dalla prima torchiatura viene aggiunto a quello già presente, mentre quello ricavato dalla seconda e dalle successive, meno pregiato, è solitamente destinato ad altri usi.

Alla fine di questa fase tutto il mosto utile sarà stato ricavato, mentre le vinacce (le parti solide) verranno messe da parte per la distillazione e la produzione di grappe e altri alcolici.

Torchio per vinificazione in bianco

Torchio idraulico

Come già detto, nel caso dell’uva bianca è necessario che questi processi siano il più rapidi possibile, in modo da evitare ossidazione del mosto ed eccessiva macerazione delle bucce.

Quello che però avveniva un tempo e succede tuttora in molte produzioni amatoriali, è una breve macerazione, a causa delle fasi di lavorazione non istantanee. In pratica, dal momento in cui si pigia il primo grappolo a quello in cui si iniza a torchiare possono passare anche alcune ore, durante le quali le bucce rimangono immerse nel mosto.
Questo processo, quando controllato e desiderato, prende il nome di macerazione pellicolare prefermentativa, e mira ad ottenere vini più strutturati e aromatici.

Se si desidera evitare questo fenomeno, in alternativa a processi di pigiatura e pressatura rapidi e veloci, si possono utilizzare i seguenti metodi:

  • separazione del mosto e delle bucce durante la pigiatura, con l’aiuto di sgrondatori; in questo modo la divisione avverrà immediatamente, non appena ogni singolo acino sarà pigiato (a differenza del metodo normale in cui la separazione avviene solamente una volta che tutta l’uva è stata pigiata);
  • torchiatura diretta, saltando la fase di pigiatura, in modo che mosto e parte solida risultino da subito separati.

La chiarifica prefermentativa del mosto bianco

Fase esclusiva del mosto bianco, atta ad ottenere un prodotto finale limpido e chiaro, la chiarifica prefermentativa (o chiarificazione) consiste nel far decantare le rimanenze solide prima che inizi la fermentazione.

Il processo avviene naturalmente per decantazione delle particelle più pesanti in circa 12-24 ore, durante le quali è opportuno cercare di impedire l’inizio della fermentazione mantenendo le temperature al di sotto di determinate soglie: alcune moderne cisterne in accaio inox sono dotate di serpentine di raffreddamento, altrimenti si possono inserire bottiglie (chiuse) piene di acqua ghiacciata, o ancora più semplicemente, si può spostare il mosto in un luogo dove la temperatura sia il più bassa possibile.

Industrialmente, e più recentemente anche in alcune cantine amatoriali, si ricorre a centrifugazione o a prodotti chimici detti “chiarificanti”, in grado velocizzare il processo di sedimentazione e consentire l’eliminazione del deposito in poche ore, senza che sia necessario dover ritardare l’inizio della fermentazione mediante il controllo della temperatura.

Qualsiasi sia il metodo utilizzato, una volta formatasi la feccia di chiarifica, è necessario eliminarla. Il mosto ottenuto è quindi pronto per essere inserito nelle botti per la fermentazione, che siano queste le più tradizionali in cemento, le più moderne in acciaio inox AISI 304, o i più economici fermentatori in plastica (quelli solitamente usati per la birra).

La fermentazione del mosto

Fase centrale della vinificazione, durante la fermentazione alcolica il “succo d’uva” si trasforma in vino, ad opera di alcuni lieviti (presenti nell’aria e sulla buccia degli acini) in grado di trasformare gli zuccheri naturalmente contenuti nel mosto in alcool etilico.

La quantità di zuccheri contenuta nell’uva dipende da molti fattori (storia climatica della stagione, grado di maturazione, ecc.), e in funzione di questi varia ogni anno. Per questo, prima che inizi la fermentazione, è utile misurarla con un densimetro o, ancora meglio, con un mostimetro (che non è altro che un densimetro dotato di una particolare scala graduata elaborata appositamente per il mosto): la misurazione rileverà i gradi babo, che mediante alcuni fattori di conversione possono essere convertiti in Kg di zucchero contenuti per ettolitro di mosto o in gradi alcolici previsti una volta che tutti gli zuccheri saranno stati trasformati in alcool.

Nel caso della vinificazione in bianco, non essendoci macerazione delle bucce durante la fermentazione, il livello di lieviti contenuti nel mosto è inferiore rispetto a quello del mosto rosso. Per questo motivo si usa aggiungere lieviti in fase di lavorazione: ovviamente non microrganismi a caso, ma lieviti selezionati appositamente.

Solitamente secchi, questi prodotti vanno reidratati in acqua tiepida zuccherata (30-40 °C) per qualche minuto prima di poter essere utilizzati. Successivamente, per evitare stress termici e danni ai microrganismi dovuti ad una eccessiva differenza di temperatura tra acqua di reidratazione e mosto, è consigliabile aggiungere alla bacinella un goccio di mosto (in modo da abbassare la temperatura della miscela), e aspettare ancora qualche minuto prima di inserire tutto il contenuto nella botte del (quasi) vino.

Attenzione, i coperchi non vanno sigillati finché la fermentazione non è conclusa e il mosto non ha finito di produrre anidride carbonica (il rischio di esplosione per la pressione che potrebbe crearsi non è da sottovalutare), a meno che il sistema di chiusura sia dotato di gorgogliatore o valvola di sicurezza che permetta al gas prodotto di fuoriuscire e liberarsi nell’ambiente.

Cisterne per vino bianco

Cisterne in acciaio inox AISI 304, con coperchi sigillanti “semprepieni”

La fermentazione richiede alcuni giorni, dipendentemente da fattori quali temperatura, grado zuccherino, attività dei lieviti, ecc.. Solitamente quella del bianco richiede più tempo rispetto a quella del rosso, e avviene a temperature leggermente inferiori.

Durante tutto questo periodo è consigliabile controllare regolarmente il mosto ed effettuare misurazioni con il mostimetro, per verificare che il processo stia avanzando (i gradi babo diminuiranno gradualmente man mano che lo zucchero viene trasformato in alcool etilico).

In passato la fine della fermentazione veniva appurata da un palato esperto che riconosceva, mediante assaggio, il sapore secco tipico del vino senza zucchero. Oggi ci si affida al mostimetro (sempre lui, a questo punto è innegabile che, nonostante sia uno strumento semplice e poco costosto, la sua utilità sia di vitale importanza): quando i gradi babo saranno a 0, la fermentazione sarà conclusa (in gergo, il mosto avrà smesso di bollire, visto che durante il processo si formano bolle e schiuma che ricordano molto quelle tipiche dell’ebollizione) e il vino sarà pronto per la svinatura (il primo travaso).

I travasi del vino bianco

Le attività post-fermentative come travasi, stabilizzazioni, illimpidamenti, chiarifiche, filtrazioni e affinamenti, effettuate nei mesi successivi, miglioreranno l’aspetto e aumentaranno la durata del vino.

A differenza della fase pre-fermentaiva, le botti andranno sigillate ermeticamente, per evitare un’eccessiva ossidazione del vino e garantirne una corretta conservazione: in quelle in acciaio inox si usano i coperchi “semprepieni“, definiti in questo modo perché, essendo in grado gallegiare sul vino, non lasciano aria (più precisamente ossigeno) nella botte, come se questa fosse al massimo della sua capienza qualsiasi sia il livello del vino in essa contenuto.

Lasciare il vino in contenitori “scolmi”, anche se sigillati, incentiverà la sua naturale trasformazione in aceto, riducendone notevolmente la durata: per questo motivo, in assenza di coperchi semprepieni, è buona norma riempire i recipienti al massimo della propria capacità.

Operazioni aggiuntive della vinificazione

Al giorno d’oggi sono molto diffusi anche tra gli hobbisti alcuni prodotti (i più noti sono i solfiti), da aggiungere durante le varie fasi di vinificazione o durante i travasi, utili per stabilizzare il vino o modificare alcune caratteristiche che potrebbero contrastarne la corretta fermentazione e conservazione.

Per tarare al meglio le sostanze da aggiungere e le loro quantità, è possibile far analizzare un piccolo campione di vino in alcune enoteche o alcuni negozi specializzati in prodotti agricoli. Il costo non è proibitovo (circa qualche decina di euro), e permette un’analisi precisa della composizione e degli interventi da fare per modificarla, oltre ad alcune informazioni utili come la percentuale alcolica (i gradi alcolici).

Cosa normalissima un tempo, ma meno diffusa oggi, è l’aggiunta dello zucchero prima della fermentazione per aumentare la percentuale alcolica del prodotto finale.
Un tempo, infatti, una gradazione alcolica elevata era sinonimo di qualità del prodotto, e diciamo pure tranquillamente che tra amici si faceva a gara a chi “ce l’aveva più alta” (entro certi limiti ovviamente).
Oltre che come motivo di vanto, era molto importante anche per una buona conservazione, soprattutto perché, non essendo ancora diffusi tutti gli stabilizzanti sopracitati, l’alcool era praticamente l’unica difesa contro i microrganismi responsabili del deperimento del vino (vini con gradazioni inferiori agli 11 gradi circa erano destinati ad “andare a male” in pochi mesi).

Oggi, per i vini destinati al commercio, l’aggiunta di zucchero è una pratica vietata, mentre tra chi produce vino per consumo proprio è ancora usanza diffusa.
Come già detto, i gradi babo misurati nel mosto prefermentazione danno un’idea di quella che sarà la gradazione alcolica finale: se la previsione non soddisfa, si valuta la quantità di zucchero (normale saccarosio da cucina) da aggiungere, tenendo conto che per aumentare di 1 grado alcolico il prodotto finale andranno aggiunti circa 1,7 Kg ogni 100 litri di mosto.

Il momento migliore per l’aggiunta dello zucchero è uno o due giorno dopo l’inizio della fermentazione (quando una parte dello zucchero inizialmente presente sarà già stata consumata, in modo che la concentrazione zuccherina non diventi così elevata da stressare eccessivamente i lieviti presenti), prelevando un secchio di mosto nel quale disciogliere la quantità di zucchero desiderata, per poi disperderlo nuovamente nella botte.

In alternativa allo zucchero solido si può utilizzare il mosto concentrato rettificato (MCR), consentito anche nella produzione di vini destinati alla vendita.

Conclusioni

Come abbiamo visto, l’arte del vino è molto complessa, e sono anche molte le tecniche che si possono adottare.

Nonostante questo, fare il vino da sé rimane comunque un hobby molto diffuso in alcune parti d’Italia, specialmente in quelle con tradizioni vinicole radicate. Oltre che per la passione nel farlo, molte persone continuano a produrlo anche per il suo gusto particolare, molto diverso rispetto a quello dei vini commerciali: non è una questione di “più buono” (figuriamoci se i vini commerciali più rinomati, prodotti da cantine specializzate, con processi e metodi controllati e affinati nell’arco di decenni, possono essere meno buoni di un vino nostrano), ma è proprio una questione di sapore e genuinità a cui molte persone sono ancora fortemente legate (e abituate).

Produrre considerevoli quantitativi di vino in casa non è certo semplice, sono necessari macchinari in grado di dare una grande mano che però non sono certo comuni nelle nostre case. Se siete interessati alla produzione di vino in casa, senza particolari strumenti costosi e ingombranti, qui trovare alcuni trucchi che possono semplificare notevolemente le cose, permettendovi di riuscire comunque a produrre piccole quantità di un vino buono, sano e di qualità.

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E voi producete vino in casa? Se sì, adottate tecniche diverse rispetto a quelle sopra descritte? Commentate qui sotto e condividete le vostre esperienze!