La tradizione vinicola italiana è tra le più famose e antiche al mondo. Si passa dai vitigni autoctoni e locali a quelli nazionali, ma una cosa è certa: ogni territorio possiede la sua tradizione storica peculiare.
Oggi vediamo le tecniche di vinificazione utilizzate per la produzione di un vino rosso di qualità.

La vendemmia

La raccolta dell’uva rossa e nera avviene più tardi rispetto a quella della bianca, solitamente tra fine settembre e inizio ottobre. Così come nella vendemmia del bianco, anche in quella del rosso è necessario eliminare eventuali grappoli o acini danneggiati, al fine di evitare che possano compromettere l’intero prodotto finale.

Le prime fasi della vinificazione: diraspatura e pigiatura

A differenza della vinificazaione in bianco, in cui i tempi di lavorazione devono essere molto rapidi, con il mosto rosso si può procedere più tranquillamente senza risentire negativamente della presenza prolungata delle bucce (anzi, la macerazione è parte integrante della lavorazione). Se siete interessati anche ai procedimenti utilizzati per produrre il vino bianco, potete trovarli qui.

Le fasi iniziali sono le stesse del vino bianco: diraspatura (la separazione degli acini dai raspi, i rami che se lasciati rilascerebbero aromi e sostanze indesiderate) e pigiatura (la separazione del mosto dalla parte solida, la buccia).

Queste due lavorazioni vengono effettuate con l’aiuto di macchinari progettati appositamente, detti pigiatrici e pigiadiraspatrici, o in alternativa “alla vecchia maniera”, calpestando i grappoli all’interno di enormi tini.

I prodotti intermedi risultanti sono i raspi (materiale di scarto), il mosto fiore (il succo d’uva più pregiato) e la parte solida (bucce e altri residui).

Vinificazione in rosso

Il mosto e le bucce prima della fermentazione tumultuosa

La fermentazione tumultuosa

Da questo momento in poi, la vinificazione in rosso e quella in bianco prendono due strade diverse: mentre nel vino bianco la fase di pressaura viene effettuata prima della fermentazione (è solamente il mosto a fermentare), nel caso della vinificazione in rosso il processo avviene in presenza delle bucce. Sarà proprio la loro partecipazione infatti a rilasciare i tannini e le altre sostanze in grado di conferire il caratteristico colore rosso al vino, che altrimenti risulterebbe molto più limpido e tendente al rosa (se non addirittura, in alcuni casi, trasparente).

Prima che inizi la fermentazione si misura il contenuto di zuccheri nel mosto, con l’aiuto di un densimetro o, ancora meglio, di un mostimetro (un densimetro dotato di una particolare scala graduata elaborata appositamente per il succo d’uva): la misurazione rileva i gradi babo, che mediante alcuni fattori di conversione possono essere convertiti in Kg di zucchero per ettolitro di mosto o in gradi alcolici previsti a fine trasformazione.

L’aggiunta di lieviti selezionati non è strettamente necessaria nel caso del mosto rosso, poiché la presenza delle bucce è in grado di garantire un apporto considerevole di lieviti selvaggi (o autoctoni) depositatisi sul grappolo durante la colitvazione.

Nel caso in cui si vogliano comunque aggiungere lieviti selezionati, ad esempio per ottenere una fermentazione alcolica più controllata e prevedibile, è necessario reidratarli in acqua tiepida zuccherata (30-40 °C) per qualche minuto; successivamente, per evitare stress termici dovuti ad una eccessiva differenza di temperatura tra acqua di reidratazione e mosto, si aggiunge alla bacinella un goccio di succo (in modo da abbassare la temperatura della miscela), e si aspetta ancora qualche minuto prima di inserire tutto il contenuto nella botte.

Attenzione, i coperchi non vanno sigillati finché la fermentazione non è conclusa e il mosto non ha finito di produrre anidride carbonica (il rischio di esplosione per la pressione che potrebbe crearsi non è da sottovalutare), a meno che il sistema di chiusura sia dotato di gorgogliatore o valvola di sicurezza che permetta al gas prodotto di fuoriuscire e liberarsi nell’ambiente.

La fermentazione del vino rosso viene detta tumultuosa perché durante il processo le bucce e la parte solida vengono spinte continuamente verso l’alto dall’anidride carbonica prodotta dai lieviti, creando così una sorta di “ribollimento”.

Il processo richiederà alcuni giorni (di solito circa una settimana), generalmente meno rispetto al bianco. In cima al liquido si formerà uno strato di bucce solido, detto “cappello”: per evitare che quest’ultimo si secchi o si ossidi, e per garantire che tutte le bucce rilascino le sostanze e i coloranti necessari, sarà necessario effettutare quotidianamente la follatura (rompendo il cappello superficiale con l’aiuto di un bastone) o, in alternativa, il rimontaggio (prelevando il liquido dal fondo della botte e riversandolo in cima, sul cappello).

Durante questi giorni è importante anche controllare regolarmente il mosto misurandone i gradi babo: se il processo avanza, i gradi diminuiranno gradualmente man mano che lo zucchero viene trasformato in alcool etilico, fino a raggiungere il livello zero.
In assenza del mostimetro, la fine della fermentazione può essere facilmente riconosciuta da un palato esperto che sia in grado di riconoscere il tipico sapore secco di una vino senza residui zuccherini, o ancora più semplicemente constatando la fine dei moti tumultuosi.

A questo punto la fermentazione sarà conclusa, il mosto avrà smesso di bollire, e sarà pronto per la svinatura.

La pressatura delle vinacce

Nella vinificazione in rosso, la fase di pressatura viene effettuata a fine fermentazione (e non prima, come nel caso del bianco): le bucce sono rimaste in macerazione per qualche giorno, hanno rilasciato i coloranti, i tannini e gli aromi necessari, e ora sono pronte per essere eliminate.

Torchio idraulico

Torchio idraulico dopo la pressatura

Amatorialmente la separazione tra parte liquida e parte solida viene effettuata mediante il torchio (fase di torchiatura), stando attenti ad evitare di lavorare a pressioni troppo elevate che potrebbero estrarre dalle fibre sostanze e aromi indesiderati.

Anziché effettuare un solo passaggio a grandi pressioni, si effettuano quindi più passaggi (solitamente due o tre) a pressioni inferiori: una volta raggiunto un certo livello di pressione, si scarica il torchio e si procede alla decompattazione della massa creatasi, risottoponendola poi ad una successiva torchiatura.
Questa decompattazione permette di liberare ulteriormente notevoli quantitativi di vino, lavorando a pressioni in corrispondenza delle quali, prima, la massa non liberava più parte liquida.

Il vino ricavato dalla prima torchiatura viene aggiunto a quello già presente, mentre quello ricavato dalla seconda e dalle successive, meno pregiato, è solitamente destinato ad altri usi.

Le vinacce (le parti solide) che rimangono nel torchio non sono materiale di scarto, verranno utilizzate per la distillazione e la produzione di grappe e altri alcolici.

Vinacce rosse dopo la pressatura

Le vinacce dopo essere state pressate

Vinacce dopo la pressatura

Le vinacce dopo essere state pressate e decompattate

I travasi del vino rosso

Nei mesi successivi il vino sarà sottoposto a travasi, stabilizzazioni, chiarifiche, filtrazioni e affinamenti che ne miglioreranno l’aspetto e ne aumentaranno la durata.

A differenza della fase pre-fermentaiva, le botti vanno sempre sigillate ermeticamente, in modo da evitare un’eccessiva ossidazione del vino e garantirne una corretta conservazione. In quelle in acciaio inox si usano coperchi detti “semprepieni”, che essendo in grado di gallegiare sul vino non lasciano aria nella botte, qualsiasi sia il livello del vino in essa contenuto.

Conservare il vino in contenitori “scolmi”, anche se sigillati, accelererà la sua naturale trasformazione in aceto. In assenza di coperchi semprepieni è quindi buona norma riempire i recipienti al massimo della propria capacità.

Operazioni aggiuntive della vinificazione

Al giorno d’oggi sono molto utilizzati anche tra gli hobbisti prodotti da aggiungere durante le varie fasi di vinificazione e travasi, utili a stabilizzare il vino e garantirne un corretto invecchiamento (un esempio tra tutti, i solfiti).

Per calibrare al meglio le quantità necessarie è possibile far analizzare un piccolo campione di vino dalle enoteche o da alcuni negozi specializzati in prodotti agricoli: a fronte di un costo massimo di qualche decina di euro, l’esito dell’analisi fornirà la composizione precisa e gli interventi da fare sul vino, oltre ad alcune informazioni utili e precise come la percentuale alcolica.

Anche per il vino rosso era un tempo pratica diffusa aggiungere dello zucchero prima della fermentazione per aumentare la gradazione alcolica del prodotto finale.
Mentre nel vino bianco questa pratica rappresenta uno dei modi per aumentarne la durata, nel caso del vino rosso, essendo questo in grado di raggiungere già autonomamente gradazioni più elevate e sufficienti per una buona conservazione (sono necessari almeno 11 gradi circa), rimane più una questione di tradizione: la percentuale alcolica elevata era infatti sinonimo di qualità del prodotto, e tra produttori si faceva a gara a chi “ce l’aveva più alta”.

L’aggiunta di zucchero oggi è una pratica vietata per i vini deistinati al commercio, mentre tra i produttori amatoriali è ancora abbastanza diffusa. In base ai gradi babo misurati nel mosto non fermentato, ci si fa un’idea di quella che sarà la gradazione alcolica finale: se la previsione non soddisfa, si calcola la quantità di zucchero (normale saccarosio da cucina) da aggiungere, tenendo conto che 1,7 Kg ogni 100 litri di mosto possono alzare di circa 1 grado la percentuale alcolica del prodotto finale.

L’aggiunta dello zucchero non deve essere effettuata subito, ma solamente uno o due giorno dopo l’inizio della fermentazione (quando una parte dello zucchero inizialmente presente sarà già stata consumata, evitando così il rischio che la concentrazione zuccherina diventi troppo elevata e va a stressare i lieviti presenti), prelevando un secchio di mosto nel quale disciogliere la quantità di zucchero desiderata, prima di disperderlo nuovamente nella botte durante le fasi di rimontaggio o follatura.

In alternativa allo zucchero solido si può utilizzare il mosto concentrato rettificato (MCR), consentito anche nella produzione di vini destinati alla vendita.

Conclusioni

La vinificazione in rosso è meno critica rispetto a quella in bianco, che richiede molte più accortezze. Nonostante questo rimane comunque una pratica delicata, da effetturare rispettando precise regole.

Fare il vino da sé rimane una passione molto diffusa in alcune parti d’Italia, specialmente in quelle zone con una tradizione vinicola radicata. Il vino prodotto “artigianalmente” ha un gusto particolare, molto diverso rispetto a quello dei vini commerciali: non è una questione di “più buono” (figuriamoci se i vini commerciali più rinomati, prodotti da cantine specializzate, con processi e metodi controllati e affinati nell’arco di decenni, possono essere meno buoni di un vino nostrano), ma è più una questione di sapore e genuinità a cui molte persone sono ancora fortemente legate (e abituate).

Produrre considerevoli quantitativi di vino in casa non è certo semplice, sono richiesti macchinari in grado di dare una grande mano che però non sono certo comuni nelle nostre case. Se siete interessati alla produzione di vino in casa, senza particolari strumenti costosi e ingombranti, qui trovare alcuni trucchi che possono semplificare notevolemente le cose, permettendovi di riuscire comunque a produrre piccole quantità di un vino buono, sano e di qualità.

Se siete interessati al vino e alla sua produzione, qui potete trovare tutti gli altri articoli di domuseconomy dedicati all’argomento.

E voi producete vino? Se sì, adottate tecniche diverse rispetto a quelle sopra descritte? Commentate qui sotto e condividete le vostre esperienze!